La fine di Bija

Il famoso trafficante di essere umani che gestiva la tratta migratoria dalla Libia all'Italia è stato ucciso

Al-Bija, il cui vero nome era Abd al-Rahman al-Milad, era un noto trafficante di esseri umani e comandante della Guardia Costiera libica di Zawiya.

Su di lui non si hanno molte informazioni, ma si presume sia nato tra il 1986 e il 1989.

Al-Bija ha poi partecipato alla rivolta del 2011 contro Gheddafi e ha successivamente scalato i ranghi della Marina libica.

Le sue attività principali includevano il traffico di esseri umani, armi, droga e petrolio.

Era noto per la sua brutalità e per il controllo che esercitava sulle rotte migratorie dalla Libia verso l’Europa. Al-Bija era anche coinvolto direttamente nella tortura dei migranti.

Nonostante fosse sanzionato dalle Nazioni Unite e ricercato dall’Interpol, ha continuato a ricevere promozioni e incarichi ufficiali, ed ha anche negoziato direttamente a Roma con il governo italiano.

La sua storia si è epopea si è conclusa oggi, dopo che è stato ucciso a colpi di arma da fuoco mentre si trovava nella sua auto a Tripoli.

La notizia è stata confermata da due funzionari libici e riportata dall’agenzia di stampa Associated Press.

La sua morte arriva in un contesto di forte instabilità nel paese, ancora segnato da anni di guerra civile e dalla presenza di potenti milizie armate.

La Libia, con la sua posizione geografica strategica sul Mediterraneo, è da anni il principale punto di partenza per i migranti che cercano di raggiungere l’Europa.

In questo contesto, al Milad aveva raggiunto una posizione di potere all’interno della cosiddetta Guardia costiera libica, un insieme di milizie locali incaricate di impedire con la forza le partenze dei migranti.

La Guardia costiera libica era stata finanziata e addestrata dall’Italia e dall’Unione Europea nel tentativo di gestire il fenomeno migratorio, ma si è rivelata un’organizzazione profondamente corrotta e implicata in crimini contro l’umanità.

A causa del suo coinvolgimento in attività criminali, nel 2020 al Milad era stato arrestato dalle autorità libiche, un fatto che aveva scatenato reazioni violente e minacce da parte delle milizie della sua città natale, Zawiya.

L’arresto, tuttavia, non era durato a lungo: sei mesi dopo, al Milad era stato rilasciato, suscitando critiche da parte della comunità internazionale e delle organizzazioni per i diritti umani.

Oltre alle sanzioni internazionali, diverse inchieste giornalistiche e un’indagine delle Nazioni Unite avevano documentato il suo ruolo di rilievo nel traffico di esseri umani e la sua responsabilità nella gestione dei centri di detenzione per migranti a Zawiya.

In questi centri, secondo numerose testimonianze, si perpetrano ancora oggi violazioni sistematiche dei diritti umani, con abusi fisici, stupri, torture e omicidi.

In particolare, “Bija” era accusato di avere ordinato l’affondamento, su un presunto ordine ricevuto delle autorità europee, di diverse imbarcazioni di migranti nel Mediterraneo, causando la morte di decine di persone.

Questi atti brutali lo avevano reso uno dei criminali più ricercati, ma anche una figura temuta e rispettata all’interno del complicato mosaico delle.milizie libiche post-guerra civile.

L’omicidio di al Milad, avvenuto in circostanze ancora poco chiare, non è stato rivendicato da alcun gruppo, e gli autori del delitto restano ignoti.

La sua morte apre tuttavia nuovi interrogativi sulla stabilità della regione e sull’efficacia delle misure adottate dalla comunità internazionale per combattere il traffico di esseri umani.

In un paese dove il potere è frammentato tra varie fazioni armate, l’eliminazione di un leader così controverso potrebbe innescare ulteriori tensioni e violenze, rendendo ancora più difficile il già complesso scenario libico.

 

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