Era 11 settembre 1973, esattamente 50 anni fa quando gli Stati Uniti deposero il Presidente Cileno Salvador Allende dimostrando al mondo ancora una volta quanto crudele e cinica posso essere la politica del Dipartimento di Stato.
Quando Allende salì al potere era il 1970 e l’economia cilena stava crescendo in maniera sostenuta con un incremento medio annuo di circa il 4%. Nonostante ciò le disuguaglianze sociali erano ancora ampie ed è così che Allende, segretario del Partito Socialista Cileno vinse le elezioni con il 36,3% dei voti.
Durante il suo incarico, Salvador Allende perseguì “La vía cilena al socialismo” che comprendeva la nazionalizzazione di determinate grandi imprese (soprattutto quella del rame), la riforma del sistema sanitario, un proseguimento delle riforme del suo predecessore Eduardo Frei Montalva riguardanti il sistema scolastico, un programma per la distribuzione gratuita di latte per i bambini e un tentativo di riforma agraria.
Le imprese del Rame erano però di proprietà dei grandi fondi d’investimento e delle grandi compagnie industriali americane che non tollerarono un simile affronto, di concerto alla volontà del Dipartimento di Stato Americano di evitare l’espansione del socialismo, in particolare in America, in quello che ritenevano “il giardino di casa”, sullo sfondo della Guerra Fredda.
Poco conta la “democrazia” quando questa cozza con gli interessi geopolitici e l’agenda della Cia, ed è così che il fumo che si alzò denso dal Palacio de La Moneda, bombardato dai caccia militari dei golpisti.
Allende non ha voluto fuggire e neppure consegnarsi ai militari che hanno tradito sia lui sia la Democrazia, scendendosi ad essere puro ed infimo strumento di morte dei diktat di Washington.
Poche ore prima della tragica morte, il celebre discorso, le ultime parole trasmesse via radio: “Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento”.
Era il preannunciando del disastro che fu la terribile dittatura militare di Pinochet: oltre 31’000 le vittime di violazioni ai diritti umani durante, con 2’125 morti e 1’102 sparizioni riconosciute.