L’industria della moda è da tempo sotto i riflettori per le sue pratiche di sfruttamento lavorativo. Grandi case di moda come Manufactures Dior e Giorgio Armani sono state recentemente coinvolte in inchieste giudiziarie che hanno portato alla luce lo sfruttamento di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di lavoro inaccettabili.
Lo sfruttamento nell’industria della moda assume diverse forme, accomunate da un unico obiettivo: il profitto a scapito dei diritti e della dignità dei lavoratori. Tra le pratiche più diffuse troviamo:
Salari da fame: I lavoratori ricevono cifre irrisorie, spesso ben al di sotto dei minimi salariali previsti dalla legge, per turni massacranti che possono arrivare fino a 14 ore al giorno, sette giorni su sette.
Condizioni di lavoro inaccettabili: Gli stabilimenti produttivi sono spesso privi dei minimi requisiti di sicurezza, con lavoratori esposti a sostanze chimiche dannose e a rischi di incidenti.
Sfruttamento abitativo: I lavoratori, spesso migranti o persone in situazioni di vulnerabilità, vengono ospitati in alloggi precari e sovraffollati, privi dei servizi igienici minimi.
Le conseguenze dello sfruttamento lavorativo sono drammatiche per la salute fisica e mentale dei lavoratori, che si vedono privati non solo di un lavoro dignitoso ma anche di salute, sicurezza e libertà. Inoltre, il sistema dello sfruttamento alimenta la povertà e l’esclusione sociale, creando un circolo vizioso da cui è difficile uscire.
Le responsabilità dello sfruttamento nell’industria della moda non ricadono solo sui caporali e sui datori di lavoro che gestiscono direttamente gli stabilimenti produttivi. Grandi case di moda, pur trincerandosi dietro la scusa di non essere a conoscenza degli abusi, traggono profitto da questo sistema di sfruttamento. Beneficiando infatti di costi di produzione ridotti e di una maggiore flessibilità, riescono a immettere sul mercato prodotti a prezzi competitivi, aumentando i loro profitti.
In particolare le società coinvolte sono:
Manufactures Dior: L’azienda è stata accusata di sfruttare manodopera irregolare in Madagascar per la produzione dei suoi abiti. Le indagini hanno portato alla luce condizioni di lavoro inaccettabili, con lavoratori pagati pochi centesimi di euro l’ora e costretti a lavorare in ambienti pericolosi.
Giorgio Armani: La casa di moda è stata coinvolta in un’inchiesta che ha portato alla luce lo sfruttamento di lavoratori in opifici cinesi. I lavoratori erano costretti a lavorare 14 ore al giorno, sette giorni su sette, per un salario di pochi euro. Vivevano in dormitori sovraffollati e privi dei servizi igienici minimi.
La lotta contro lo sfruttamento lavorativo nell’industria della moda rappresenta una sfida complessa ma non impossibile. Solo attraverso un’azione congiunta e determinata sarà possibile sconfiggere questa piaga e costruire un settore più giusto, equo e sostenibile per tutti.
Lo sfruttamento lavorativo nell’industria della moda è una realtà drammatica che deve essere contrastata con forza. Tutti gli attori in gioco, dai governi alle aziende, dai consumatori alle organizzazioni internazionali, hanno la responsabilità di agire per garantire il rispetto dei diritti umani e la dignità dei lavoratori. Solo attraverso un impegno comune sarà possibile costruire un settore della moda più etico e sostenibile.
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