La sentenza di primo grado del processo Rinascita-Scott, che ha coinvolto 338 imputati appartenenti a alcune delle più potenti cosche della ‘Ndrangheta nella provincia di Vibo Valentia, è stata emessa oggi nell’aula bunker di Lamezia Terme in Calabria.
Il processo, durato quasi tre anni, ha visto sul banco degli accusati capi e affiliati delle famiglie mafiose e personaggi noti della politica e delle forze dell’ordine locali.
I giudici hanno inflitto pene severe ai principali imputati: 28 anni di carcere a Pasquale Bonavota, il capo clan di Sant’Onofrio arrestato ad aprile dopo cinque anni di latitanza, 26 anni al boss Nicola Bonavota e 30 anni a Domenico Bonavota e Saverio Razionale.
In totale, sono state emesse condanne pari a oltre duemila anni di reclusione per un totale di 207 condannati.
I reati contestati agli imputati sono stati infatti gravi e numerosi, e riguardano diverse forme di criminalità organizzata. Tra le accuse principali ci sono quelle di associazione mafiosa, ovvero di far parte di un’organizzazione criminale di stampo mafioso, e di concorso esterno in associazione mafiosa, ovvero di aver favorito o agevolato le attività di tale organizzazione. Altri reati sono quelli di estorsione, ovvero di aver costretto delle persone a pagare somme di denaro o a cedere beni o servizi con minacce o violenze, e di traffico di droga, ovvero di aver prodotto, importato, esportato, venduto o ceduto sostanze stupefacenti o psicotrope. Alcuni imputati sono anche accusati di abuso d’ufficio, ovvero di aver violato i doveri del proprio ufficio pubblico per ottenere un vantaggio personale o per danneggiare qualcuno, e di usura, ossia l’aver prestato denaro a tassi di interesse esorbitanti, sfruttando la situazione di bisogno o di difficoltà delle vittime.
Altri reati, sempre collegati al modus operandi mafioso, riguardano il riciclaggio e la ricettazione di denaro, di beni o valori provenienti da attività illecite, la detenzione illegale di armi ed esplosivo, il traffico di influenze illecite, ovvero di aver sfruttato la propria posizione o le proprie relazioni per interferire con l’attività della pubblica amministrazione, il trasferimento fraudolento di valori, ovvero di aver sottratto o occultato beni o capitali per eludere le norme fiscali o le azioni dei creditori, e la rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio, ovvero di aver divulgato o usato informazioni riservate relative al proprio ufficio pubblico.
Nonostante il maxi processo sia un duro colpo all’ Ndrangheta la mafia, rimanendo ancorata alla protezione dell’ intelligence Usa, resta ancora una presenza assai forte nel nostro Paese e debellarla sarà un processo lungo, soprattutto se continueremo a fare parte della Nato.