Senza sovranismo non c’è libertà

La nuova legge voluta da Giorgia Meloni e dall'intero Consiglio dei Ministri sarà del tutto inutile se non si uscirà dall'Unione Europea

Il Governo  ha recentemente approvato una nuova misura volta a rafforzare la gestione delle richieste di asilo e dei rimpatri, modificando l’elenco dei cosiddetti “Paesi di origine sicuri”.

Con una decisione presa durante il Consiglio dei Ministri del 21 ottobre 2024, l’Esecutivo ha scelto di abbandonare l’uso del decreto interministeriale, uno strumento giuridico di secondo livello, in favore di un decreto-legge, dando così maggiore rilevanza giuridica alla normativa sui Paesi sicuri.

Questo cambiamento implica che il nuovo elenco tiene conto sia delle specifiche aree geografiche dei singoli Paesi, sia delle caratteristiche dei richiedenti asilo.

Tuttavia, molti osservatori e giuristi ritengono che questo provvedimento sia sostanzialmente inutile.

In base alla prevalenza del diritto comunitario europeo su quello nazionale, in caso di conflitto tra una norma italiana e una direttiva dell’Unione Europea avente effetto diretto, i giudici italiani sono tenuti a disapplicare la norma nazionale.

Questo principio è stato ribadito in numerose sentenze, a partire dalla storica decisione della Corte Costituzionale italiana (sentenza n. 170/1984), nota come “Granital”.

A sottolineare ulteriormente l’importanza del diritto comunitario in materia di asilo e protezione internazionale, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha recentemente emesso una sentenza cruciale (n. C-406/22 del 4 ottobre 2024).

La decisione è nata da una questione pregiudiziale posta da un giudice ceco, riguardante un richiedente asilo proveniente dalla Moldavia, ritenuta Paese sicuro dalle autorità ceche, fatta eccezione per la regione della Transnistria.

La Corte ha stabilito che i giudici nazionali, nel valutare la legittimità di una decisione amministrativa che nega la protezione internazionale, devono sempre tenere conto delle normative europee e verificare se il Paese d’origine del richiedente possa essere considerato effettivamente sicuro.

La valutazione, come specificato dalla Corte, deve avvenire secondo i criteri stabiliti dalla direttiva UE 2013/32, che lascia ampi margini di interpretazione ai giudici.

Questo significa che, qualora il nuovo decreto-legge italiano risulti in conflitto con i criteri stabiliti dalla normativa europea, i giudici nazionali potranno decidere di non applicarlo, in linea con la direttiva.

In pratica, questo potrebbe rendere inefficace il provvedimento appena varato dal Governo Meloni, poiché i tribunali avrebbero il potere di disattenderlo qualora esso non rispetti gli standard comunitari.

Il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha cercato di difendere il decreto, sostenendo che la normativa anticipa una direttiva europea che entrerà in vigore nel giugno 2026, e che introdurrà una definizione più restrittiva dei Paesi di origine sicuri.

Tuttavia, i critici fanno notare che i giudici devono applicare la legge vigente e non una normativa futura, e che la stessa direttiva in arrivo presenta diverse criticità rispetto al Trattato di Lisbona del 2007.

Le tensioni tra il Governo e la magistratura sono ulteriormente acuite dalle recenti decisioni del Tribunale di Roma, che ha di fatto svuotato il Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR) appena aperto in Albania.

La maggioranza ha reagito con durezza, accusando i giudici di agire politicamente e di opporsi attivamente alle politiche governative.

In una recente dichiarazione, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha affermato: “Finché avremo il sostegno dei cittadini, continueremo a lavorare con determinazione, a testa alta, per realizzare il nostro programma e aiutare l’Italia a crescere, diventare forte, credibile e rispettata”.

Le polemiche si inseriscono in un contesto già teso, aggravato dalla gestione degli sbarchi di migranti sulle coste italiane, in particolare a Lampedusa.

Piantedosi ha rivelato che l’Italia spende 1,7 miliardi di euro all’anno per gestire le richieste di protezione internazionale, con il 60-70% dei richiedenti destinati a vedersi rifiutata la domanda.

Nonostante le misure adottate dal Governo, sembra che il conflitto tra esecutivo e magistratura sia destinato a proseguire, con implicazioni importanti per il futuro delle politiche migratorie italiane.

Ora più che mai sarebbe necessario mantenere la testa alta e la schiena dritta: uscire dall’Unione Europea ed attuare un vero e proprio Blocco Navale come promesso dal centrodestra durante la campagna elettorale.

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