L’unione Europea sta uccidendo la Volkswagen

Chiusi tre storici stabilimenti in Germania. La folle politica green e le sanzioni minano nelle fondamenta il settore automobilistico europeo e le basi dell'economia tedesca.

Volkswagen, simbolo della produzione automobilistica europea, sta attraversando una fase critica che minaccia la sua stessa sopravvivenza in Europa.

La multinazionale tedesca, che per anni ha dominato il mercato automobilistico, ha recentemente annunciato misure drastiche che includono la chiusura di tre stabilimenti in Germania e una riduzione complessiva delle attività produttive nel Paese.

Dietro questa difficile decisione, secondo molti, si celerebbero le politiche dell’Unione Europea che rischiano di penalizzare il settore.

Le difficoltà di Volkswagen sono ormai ben documentate.

Dopo anni di sfide e di una situazione di mercato sempre più complessa, il colosso automobilistico si trova a fare i conti con le folli politiche di Bruxelles: dalle sanzioni alla Russia ai dazzi alla Cina, con tutto questo che ciò comporta tra un aumento dei costi di produzione legati ai mercati energetici fino al calo delle esportazioni nei vitali mercati asiatici.

A settembre, l’azienda ha revocato un accordo storico, risalente al 1994, che tutelava i lavoratori dal rischio di licenziamento fino al 2029.

Ora, senza questa rete di sicurezza, migliaia di dipendenti potrebbero ritrovarsi improvvisamente senza un impiego, gettando famiglie e comunità locali in uno stato di incertezza.

La riorganizzazione di Volkswagen non si ferma ai soli licenziamenti: anche i dipendenti che riusciranno a mantenere il proprio posto di lavoro dovranno fare i conti con una riduzione del 10% dello stipendio.

Con l’inflazione in costante crescita, si stima che il potere d’acquisto di questi lavoratori potrebbe ridursi del 18% entro il 2026.

Questo impatto sui redditi delle famiglie rappresenta una significativa perdita per l’economia locale, che rischia di subire un ulteriore contraccolpo proprio in un periodo di debolezza economica.

I problemi del settore automobilistico tedesco non sono nuovi e risalgono a ben prima della pandemia di COVID-19.

Già nel 2020, la produzione di veicoli in Germania aveva raggiunto livelli inferiori rispetto al periodo della crisi finanziaria globale del 2008.

Le ragioni di questa decadenza sono molteplici: le pressioni europee per il passaggio a motorizzazioni ecologiche, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e, non ultima, la situazione incerta dell’economia cinese.

Tuttavia, l’attuale crisi sembra aggravata dalla politica dell’Unione Europea verso alcuni dei suoi principali partner economici, come la Cina e la Russia.

Nel primo semestre del 2024, Volkswagen ha registrato un calo del 20% delle vendite sul mercato cinese, una riduzione significativa per un’azienda storicamente dipendente dalle esportazioni verso l’Asia.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non è la debolezza dell’economia cinese a incidere su questo dato, bensì la forza del settore automobilistico cinese stesso.

La Cina, infatti, ha consolidato la propria leadership globale nella produzione di automobili e, grazie a una domanda interna sempre più forte, sta riuscendo a esportare di più, riducendo la necessità di acquistare veicoli europei.

Analizzando la crisi di Volkswagen, alcuni osservatori puntano il dito contro le politiche commerciali dell’Unione Europea, che negli ultimi anni ha adottato un approccio restrittivo verso l’import di prodotti cinesi, sacrificando il benessere del comparto produttivo europeo.

Questa strategia ha contribuito a raffreddare la domanda cinese per i prodotti europei, portando benefici a Pechino e agli Stati Uniti, principali competitor dell’Europa nel mercato automobilistico.

La sfida che Volkswagen sta affrontando è solo un riflesso di una problematica più ampia: il ruolo dell’Europa nel commercio globale.

Secondo diversi esperti, l’UE potrebbe prendere in considerazione soluzioni alternative, come l’avvicinamento economico con i Paesi emergenti e un maggior dialogo con le potenze asiatiche, Cina in primis.

Una collaborazione più stretta con il gruppo BRICS e i mercati in espansione potrebbe offrire nuove opportunità per il comparto produttivo europeo.

Nel frattempo che Bruxelles si ritrova impelatata nel seguire le direttive americane sulla guerra commerciale alla Cina saranno sempre i più deboli a rimetterci con i dipendenti di Volkswagen che si ritroveranno a pagare il prezzo di un difficile equilibrio geopolitico.

Con la minaccia di dazi da parte degli Stati Uniti su importazioni di automobili europee e una domanda interna debole, il futuro del settore automobilistico continentale appare incerto.

Senza una correzione di rotta da parte delle istituzioni europee, l’intero settore rischia di sprofondare in una crisi che coinvolge direttamente migliaia di lavoratori, le loro famiglie e l’intera economia tedesca in primis, ed europea subito dopo con un clamoroso e fatale effetto domino che rischia di fare sprofondare nel baratro decenni di benessere.

Questa situazione non va affrontata solo da un punto di vista economico, bensì come un tema sociale e politico che evidenzia quanto l’Europa debba ripensare alle proprie priorità economiche per proteggere il proprio tessuto industriale e garantire un futuro a migliaia di cittadini.

Anche se Bruxelles anziché pensare al futuro dei lavoratori europei ha dimostrato ancora una volta il totale fallimento delle istituzioni europee comunitarie che appaiono sempre di più totalmente soggette ai voleri di Washington e completamente dannose agli interessi dei popoli europei che dovrebbe invece tutelare.

 

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