Subito dopo che la riforma è stata approvata dal Parlamento Israeliano sono scoppiate proteste in tutto il paese, comprese tutte le principali città: Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme. La Kaplan Street di Tel Aviv in particolare è diventata il fulcro delle manifestazioni contro il governo. Qui la polizia ha dispiegato cannoni ad acqua nel tentativo di disperdere la folla. Le opposizioni hanno così organizzato il «giorno della resistenza» e hanno invitato i cittadini «a salvaguardare la democrazia israeliana». I manifestanti hanno esposto striscioni con su scritto: «Vietato l’ingresso a una dittatura» o «Insieme saremo vittoriosi» e sventolavano la bandiera nazionale bianca e azzurra. A Herzliya, i dimostranti hanno bruciato pneumatici nel mezzo di un incrocio prima di essere stati sgomberati dalla polizia. Si stima che circa 10.000 persone abbiano partecipato alle proteste nella sola città di Tel Aviv.
Le rivolte sono scoppiate subito dopo che il Parlamento dello Stato ebraico, ha approvato, con 64 voti contro 56, in prima lettura, la modifica della «clausola di ragionevolezza» che limita le capacità della Corte Suprema di intervenire sulle decisioni del governo. La misura mira a cancellare appunto la possibilità per la magistratura di pronunciarsi sulla «ragionevolezza» delle decisioni del governo, limitandone i poteri. In maniera simile a quanto sta avvenendo anche nel nostro paese lo scontro tra il potere esecutivo e quello giudiziario sembra più vivo che mai, soprattutto quando la magistratura agisce negli interessi dell’opposizione politica al governo in carica, come denunciato dal Governo Meloni.
A differenza dell’Italia però in Israele la magistratura ha un ruolo di garanzia più forte considerando il fatto, non di lieve entità, che il paese mediorientale non ha una costituzione scritta, ma solamente una serie di leggi fondamentali che regolano i rapporti tra cittadini e stato. Proprio per questo la Corte Suprema ha un ruolo di garanzia decisamente più importante rispetto all’Italia, anche se estremamente improbabile che questa riforma porti ad una dittatura all’interno dello Stato Ebraico. Le proteste d’altro canto non sembrano poter minimamente scalfire l’esecutivo di Benjamin Netanyahu e la sua maggioranza parlamentare che sembra voler procedere risoluta nell’approvazione della riforma in tempi celeri.
Rimane comunque altamente probabile che, date le tensioni interne, si cercherà di sviare l’attenzione del pubblico e dei media su problematiche di politica estera, causando nuovi scontri con la Palestina e con i paesi arabi.
In generale, considerando anche la situazione instabile in Siria, Iraq e Libano, la situazione in Medio Oriente riente resta sicuramente da monitorare.