Non c’è pietà per il popolo palestinese

Ospedali al buio, neonati uccisi nelle incubatrici, vittime innocenti della guerra di Netanyahu.

Il conflitto tra Israele e Hamas, il movimento islamico che governa la Striscia di Gaza, prosegue da 34 giorni, senza alcuna speranza di una pace duratura.

Il numero dei morti è tragico: secondo Hamas, i palestinesi uccisi sono più di 10.800, di cui almeno 4.000 bambini; secondo Israele, i suoi caduti tra militari e civili sono 1.400; inoltre, Hamas detiene ancora 241 ostaggi israeliani, tra cui un bambino americano di tre anni i cui genitori sono stati assassinati negli attacchi del 7 ottobre.

Le condizioni umanitarie nella Striscia di Gaza sono disperate: scarseggiano acqua, luce, cibo e farmaci.

Gli ospedali sono al limite e sotto il costante bombardamento dell’aeronautica israeliana, che giustifica i raid su ambulanze e ospedali sostenendo che nei tunnel sotterranei si nasconda il capo di Hamas Yahya Sinwar.

Il caso più emblematico dell’intera situazione è quello dell’ospedale di Al-Shifa, il più grande di Gaza, che ha praticamente cessato di operare per la mancanza di energia elettrica (garantita dai generatori di emergenza a combustibile) e acqua.

Tra le ultime vittime, ci sono anche tre infermiere che lavoravano in questo ospedale.

Tra le scene più dolorose, ci sono quelle dei bambini morti nelle incubatrici, a causa dei raid aerei o della mancanza di ossigeno per via del blackout conseguente all’interruzione dell’elettricità e del combustibile a Gaza.

La comunità internazionale ha espresso più volte la sua condanna per la violenza e la violazione dei diritti umani in corso nel conflitto con anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha approvato una risoluzione che chiede un cessate il fuoco immediato e incondizionato, il rispetto del diritto internazionale umanitario, l’accesso degli aiuti umanitari e la ripresa dei negoziati per una soluzione politica basata sulla soluzione dei due Stati.

Tuttavia, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha respinto la risoluzione, accusando l’Onu di aver attaccato Israele invece di Hamas.

Anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha espresso la sua profonda preoccupazione per la situazione umanitaria a Gaza e ha lanciato un appello alla fine delle ostilità e al dialogo tra le parti.

Alcuni Paesi hanno cercato di svolgere un ruolo di mediazione per favorire una tregua.

In particolare, gli Stati Uniti, il Qatar e l’Egitto sono coinvolti nei negoziati per il rilascio degli ostaggi, che potrebbe avvenire in cambio di donne e adolescenti palestinesi detenuti da Israele.

Tuttavia, le trattative sono complicate dalla sfiducia reciproca e dalle richieste inconciliabili delle due parti.

La guerra tra Israele e Hamas non è solo un conflitto locale, ma ha ripercussioni su tutto il Medio Oriente e il mondo.

Infatti, altri attori regionali sono coinvolti o interessati alla crisi, come l’Iran, la Siria, il Libano, la Turchia e l’Arabia Saudita.

In particolare, il gruppo sciita Hezbollah, alleato di Hamas e sostenuto dall’Iran, ha lanciato missili anticarro contro Israele dal Libano, ferendo 14 persone nel nord del Paese, ma non sembra per ora voler intervenire direttamente nel conflitto.

Gli Stati Uniti, invece, hanno effettuato attacchi contro siti iraniani in Siria, attacchi ovviamente contro il diritto internazionale tanto decantato dagli Usa per la questione Ucraina.

La guerra tra Israele e Hamas restra una tragedia senza fine, che mette a repentaglio la pace e la stabilità di una regione già tormentata da conflitti e tensioni, una guerra tra due demoni che colpiscono, senza pietà, donne e bambini.

 

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