Oggi, milioni di cittadini americani si recano alle urne per l’Election Day, l’appuntamento che ogni quattro anni segna uno dei momenti più importanti per la democrazia statunitense.
Ma come funziona esattamente il processo di elezione del presidente negli Stati Uniti?
A differenza di molti altri paesi, i cittadini americani non votano direttamente per il loro presidente.
Ogni elettore esprime la propria preferenza per i cosiddetti “Grandi Elettori”, rappresentanti del proprio stato nel Collegio Elettorale.
Il Collegio Elettorale è un organo costituito da 538 grandi elettori, corrispondenti ai 435 membri della Camera dei Rappresentanti, 100 senatori e 3 delegati per il Distretto di Columbia.
Ogni stato ha un numero variabile di elettori, proporzionale alla sua popolazione, e questo ne influenza il peso complessivo nelle elezioni.
In quasi tutti gli stati americani, il candidato che ottiene la maggioranza dei voti popolari conquista tutti i voti elettorali di quello stato.
Ci sono tuttavia delle eccezioni: il Maine e il Nebraska utilizzano un sistema proporzionale che distribuisce i voti elettorali in base ai risultati dei singoli distretti, permettendo una rappresentazione più diversificata.
Per vincere la presidenza, un candidato deve ottenere almeno 270 voti elettorali, pari alla maggioranza semplice.
Uno degli aspetti più controversi di questo sistema riguarda la possibilità che un candidato possa diventare presidente senza ottenere la maggioranza del voto popolare a livello nazionale.
La notte elettorale negli Stati Uniti è seguita con grande attenzione e si svolge in diverse fasi, in base alla chiusura dei seggi nei vari stati.
Di seguito, una guida alle tappe principali della serata.
All’inizio della serata, i commenti si basano sui sondaggi raccolti durante la giornata elettorale, i cosiddetti “exit poll”.
Negli Stati Uniti, questi sondaggi si concentrano su risposte generali, dato che le previsioni sui singoli candidati non possono essere divulgate finché tutti i seggi non sono chiusi.
Il consorzio National Election Pool (NEP) rappresenta la principale fonte per questi exit poll, fornendo una visione generale sulle tendenze elettorali in corso.
I primi seggi a chiudere saranno quelli in Indiana e Kentucky, due stati dove la conclusione delle operazioni di voto avviene intorno alla mezzanotte (ora italiana).
Tuttavia, i media attenderanno la chiusura definitiva dei seggi in tutte le aree di questi stati, prevista intorno all’una, prima di sbilanciarsi su eventuali proiezioni.
All’una di notte chiuderanno tutti i seggi in stati come South Carolina, Vermont, Virginia e Georgia. Tra questi, la Georgia sarà uno degli stati chiave: considerato uno “swing state”, nel 2020 fu vinto da Biden per circa 11.000 voti.
Quest’anno, i sondaggi indicano un leggero vantaggio per Trump, rendendo la Georgia una delle sfide più incerte e osservate della serata.
La Virginia, invece, è passata da stato in bilico a roccaforte democratica negli ultimi anni.
Nella fascia oraria compresa tra l’1:30 e le 2 di notte, chiuderanno i seggi in numerosi stati, tra cui North Carolina e Pennsylvania, due dei territori più cruciali per l’esito finale.
La Pennsylvania in particolare è considerata fondamentale per entrambi i candidati: in un contesto politico polarizzato a altamente indeciso, vincere in questo stato potrebbe risultare decisivo per assicurarsi la presidenza.
Anche il North Carolina rappresenta un terreno di scontro significativo.
Pur essendo tradizionalmente favorevole ai repubblicani, negli ultimi anni il divario tra i partiti si è ridotto, e i sondaggi pre-elettorali indicano un equilibrio quasi perfetto tra i candidati.
L’Election Day negli Stati Uniti si presenta come un evento complesso, caratterizzato da una serie di passaggi e regole che non hanno eguali a livello internazionale.
Sebbene il sistema del Collegio Elettorale abbia subito critiche e richieste di riforma, rimane il cuore del processo democratico americano.
Con l’avanzare della notte, il mondo intero attenderà con trepidazione i risultati finali, che non solo decideranno il futuro presidente degli Stati Uniti, ma influenzeranno anche gli equilibri geopolitici globali.
Oggi 05-11-24 sto leggendo “The years of extermination” by Saul Friedländer, che tratta
della Shoa, per cercare di capire la posizione di vari Ebrei della Setta, tipo Cairo, Mentana e Parenzo, che sembrano aver tradito il loro grande Popolo in favore dei vari nemici (Hamas,
Hetzbollah, Youthi, Iran e criminali vari).
Ho letto il termine ‘Trump card’ che ho tradotto ‘atout’; poi controllando ho scoperto che la traduzione era corretta e che Trump card significa anche briscola; asso nella manica e ‘quant’altro’ (termine caro al compagno Angelicchio de La7 quanto ‘grande’ e ‘incredibile’ sono cari al compagno Ebreo Parenzo).
Mi è sembrato un segno nel destino ed una ‘trumpet’ (tromba) per annunciare la vittoria
del ‘grande’ Donald!
Ora una precisazione per il ‘grande’ David: come si può capire non ho niente contro la ‘razza’ Ebraica (che io non definisco ‘razza’, che ha un significato negativo, ma ‘gruppo etnico’), anzi lo considero il popolo più intelligente del globo terracqueo**.
Mi spiace che per interessi personali, legati anche alla propaganda in favore dei clandestini
(il cui fine è di avere in un futuro il loro voto nelle elezioni), si tradisca il Popolo di Israele
che è a forte rischio di estinzione…
Un saluto a David da Trump Card! (non rivelo la mia identità in quanto rischio la galera per
avere espresso le mie opinioni…)
** Karl Marx, Franz Kafka, Sigmund Freud, Albert Einstein, Robert Oppenheimer e
quant’altro erano Ebrei.