La Nato ha messo gli occhi su Trieste

Gli Stati Uniti mirano a rendere il porto della città una base navale permanente in funzione anti russa ed anti-cinesi, ma i progetti di Washington sono inconcludenti e pericolosi

Trieste, storico snodo marittimo tra l’Europa centrale e orientale, sembra essere finito al centro delle mire strategiche di Washington, con progetti che sollevano non poche perplessità.

Da mesi, vari articoli pubblicati su think tank e riviste specializzate americane indicano l’interesse degli Stati Uniti verso questo porto, con l’idea di farlo rientrare in una più ampia strategia di contenimento della Russia e della Cina.

Tuttavia, alcuni osservatori mettono in guardia sui possibili rischi derivanti da queste ambizioni.

Il più recente di questi articoli, pubblicato il 14 agosto su The National Interest, evidenzia il potenziale di Trieste per connettere l’Europa all’Indo-Pacifico.

La città, situata all’incrocio di diverse rotte commerciali, è stata storicamente una porta d’accesso fondamentale per l’Europa orientale e centrale.

Gli Stati Uniti vedono in questo porto una pedina importante nel tentativo di competere con la Belt and Road Initiative (BRI) cinese.

Secondo i piani americani, Trieste potrebbe infatti diventare un terminale chiave di un nuovo corridoio commerciale che colleghi l’India all’Europa passando per Israele e Giordania, un progetto denominato IMEC, o “Via del Cotone”.

Lanciato al G20 di Nuova Delhi nel 2023, l’IMEC è stato presentato come un’alternativa alla Via della Seta cinese, con l’obiettivo di rafforzare le relazioni economiche tra Europa, Medio Oriente e Asia.

Questo progetto, però, è stato sin da subito considerato da molti come ambizioso e velleitario.

Il corridoio proposto attraversa infatti regioni instabili come il Medio Oriente, e la recente escalation del conflitto tra Israele e Hamas ha ulteriormente complicato la situazione.

Non è solo la realizzazione pratica dell’IMEC a suscitare dubbi.

Un articolo pubblicato dall’Atlantic Council aveva già sottolineato la possibilità di integrare Trieste in una rete di trasporti più ampia, collegandola ai porti del Baltico e del Mar Nero.

Due corridoi commerciali collegherebbero infatti Trieste con Danzica in Polonia e Costanza in Romania, formando un triangolo di trasporti strategico, utile non solo per scopi economici, ma anche militari.

In tale ottica, Trieste potrebbe assumere un ruolo centrale nel rafforzamento del fianco orientale della NATO, con una funzione “dual-purpose” che mira a integrare le economie centro-europee con l’Indo-Pacifico e, allo stesso tempo, a contenere la Russia.

Questo scenario, tuttavia, solleva non poche preoccupazioni per il futuro del porto triestino.

La trasformazione di Trieste in un hub logistico per scopi militari potrebbe infatti renderlo un potenziale bersaglio in caso di conflitti, soprattutto considerando la crescente tensione tra la NATO e la Russia.

Alcuni analisti hanno già avvertito del rischio che il porto diventi un obiettivo strategico nel caso di un’escalation militare.

In passato, Trieste era stata considerata anche nell’ambito della Belt and Road Initiative, con il Memorandum d’Intesa firmato nel 2019 tra Italia e Cina.

Tuttavia, le forti pressioni degli Stati Uniti hanno contribuito a un progressivo allontanamento dell’Italia dai piani cinesi, culminato nel ritiro dal progetto BRI alla fine del 2023.

Il lancio dell’IMEC da parte di Washington potrebbe essere visto come un tentativo di offrire ai Paesi europei, inclusa l’Italia, un’alternativa economica per ridurre i legami con Pechino.

Nonostante l’enfasi posta dagli Stati Uniti sull’importanza strategica di Trieste, molti esperti rimangono però scettici.

Un recente rapporto di EuroMeSCo ha sollevato ulteriori dubbi sull’efficacia dell’IMEC.

Collegare il futuro di Trieste a un corridoio commerciale così incerto potrebbe rivelarsi una scelta rischiosa, soprattutto in un contesto internazionale sempre più instabile.

In conclusione, mentre Washington vede in Trieste un’opportunità strategica, il porto giuliano rischia di diventare il centro di dinamiche e scommesse geopolitiche pericolose.

Il futuro di Trieste, quindi, dipenderà dalla capacità di bilanciare interessi economici e di sicurezza, senza cadere in progetti che potrebbero esporlo a rischi maggiori di quelli che intende affrontare.

 

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