In un periodo caratterizzato da ferventi dibattiti politici, la campagna elettorale in corso ha dato luogo a una fase di stasi nelle operazioni governative, in particolare per quanto concerne l’adozione e l’implementazione di misure impopolari e delicate. Tale fenomeno è parzialmente giustificabile, dato che le amministrazioni tendono a evitare argomenti spinosi in prossimità di elezioni significative, come quelle previste per l’8 e il 9 giugno, che includeranno sia il voto per il Parlamento europeo sia le elezioni locali in più di 3.700 municipalità, inclusi 29 capoluoghi di provincia, oltre alle elezioni regionali in Piemonte.
Tuttavia, è degno di nota l’importanza delle questioni messe da parte dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni per ragioni di convenienza elettorale. Altrettanto rilevante è il modo eclatante con cui sono stati posticipati alcuni provvedimenti, spesso a seguito di dissidi interni al gabinetto e gravi malintesi comunicativi. La maggior parte di questi casi ha coinvolto il Ministero dell’Economia, sotto la direzione del leghista Giancarlo Giorgetti. Profondamente preoccupato per la stabilità finanziaria del paese, Giorgetti ha proposto – o meglio, ha cercato di proporre – una serie di iniziative basate sulla disciplina fiscale, che tuttavia sono state bloccate dalla maggioranza dei suoi colleghi di governo, incluso lo stesso Meloni.
L’ultima misura in ordine cronologico è un decreto ministeriale, avanzato da Giorgetti in collaborazione con il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, mirante a ridurre di 250 milioni di euro annui fino al 2028 il bilancio dei comuni e delle città metropolitane. Il decreto, già delineato nella legge di Bilancio per il 2024 lo scorso dicembre, è stato definito nei dettagli dai tecnici del Ministero dell’Economia nelle ultime settimane, sollevando numerose proteste da parte dei sindaci.
Conforme alla bozza redatta dal team di Giorgetti, i comuni saranno tenuti a diminuire la loro spesa di 200 milioni di euro all’anno (i rimanenti 50 milioni di risparmio saranno a carico delle città metropolitane). Metà di questi tagli, ovvero 100 milioni, sarà distribuita tra i comuni in base ai fondi ricevuti nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), un vasto programma di riforme e investimenti pubblici finanziato dalla Commissione Europea per superare la crisi pandemica. In pratica, i comuni che hanno beneficiato di maggiori finanziamenti per progetti valutati positivamente dal governo e dalla Commissione Europea dovranno simultaneamente ridurre le spese ordinarie, contribuendo così al consolidamento del bilancio nazionale.
Nelle ultime settimane, si sono tenute diverse riunioni tra i rappresentanti dell’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) e il Ministero dell’Economia. I sindaci hanno avanzato proposte meno severe, cercando compromessi per evitare il paradosso per cui i comuni più efficienti nel promuovere progetti di qualità per accedere al PNRR si trovino ora a dover operare tagli. I sindaci sostengono che la riduzione delle spese ordinarie potrebbe complicare l’attuazione di tali progetti PNRR. Per Giorgetti, le obiezioni dei sindaci sono in parte strumentali e non considerano l’impellente necessità di risanare il bilancio statale: il Ministero dell’Economia conta infatti di recuperare 1,25 miliardi di euro in cinque anni da questa iniziativa, una cifra considerevole. Data questa urgenza, Giorgetti ha superato anche i tentativi di mediazione con i sindaci intrapresi dal Ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto, di Fratelli d’Italia, che ha la delega sul PNRR.
Ma tutto sembra per ora destinato a dopo le elezioni europee quando il voto popolare sarà di nuovo ignorato per dare a Giorgetti, uomo forte dell’elite e della Commissione Europea in Italia, carta bianca per operare tagli e tradire il mandato popolare dando meno nell’occhio.
bella la foto con l’accattone alla sua sinistra (della foto)